Alice Keller

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Little girl

 

Sono pelle
fatta di mattoni
tutto sta dentro
nulla esce fuori

 

Rumer Godden, nella prefazione del suo meraviglioso libro Il fiume, dice che alcune storie devi cercarle a lungo, perché tu possa scriverle come sono nella tua testa e altre invece arrivano, ti vengono misteriosamente donate dalla scrittura stessa.

Questa storia l’ho cercata: le sono stata addosso, con le unghie e con i denti, alcuni giorni mi sono accontentata di un’unica frase, poche parole, ma sapevo che non dovevo spaventarmi del tempo, potevo avere pazienza: era nella mia testa. 

Era anche nel mio cuore: questo libro è testimone di un viaggio, che ho intrapreso per capire cose che non conoscevo, spostando paure, saltando ostacoli, tornando indietro di un passo ogni volta che nuove consapevolezze mi facevano avanzare troppo rapida nella corsa.

Scrivo, perché è qui che mi sento a casa. A metà del viaggio ho sentito che non avevo più bisogno di capire, ma di stare in quel territorio sfocato, su quella soglia dove possibile e impossibile, vero e finto, reale e immaginario si mescolano.

Le storie non nascono mai da sole: dietro di loro ci sono altre storie, e persone.

Dietro questa c’è un libro, per adulti, s’intitola: Una storia d’amore, lettera a mia figlia transgender (Carolyn Hays, Add editore) – ne ho parlato spesso, perché la sua lettura mi ha colpito dal primo istante, per il modo in cui è scritto, prima ancora che per l’argomento.

È una madre, una scrittrice, che racconta dietro pseudonimo una parte personale della sua vita, ovvero tutto quello che ha scoperto avendo la fortuna di stare accanto a sua figlia transgender.

Chi è transgender sente che la sua anima ha un genere che non corrisponde a quello del suo corpo. Genere non c’entra con sessualità: puoi sentirti maschio in un corpo di donna, e da questo non dipende il fatto che ti piaceranno gli uomini o le donne, o entrambi.

Quando ho messo a fuoco questo punto, mi è sembrato che tutto il mio corpo si allargasse: come ho potuto ragionare sempre e solo in termini di maschio o femmina, se il nostro pensiero è così ampio, se la nostra anima ricorda la profondità delle stelle?

Ma anche: tutte le volte che ho ragionato solo in termini di maschio e femmina, mi sono fatta guidare da un silenzioso pregiudizio che non aveva altro scopo, se non quello implicito nella nostra società di modellare in un unico modo le forme. 

Casa è una sensazione piccola, a volte è un luogo da cui veniamo, ma dove non siamo mai stati. 
Casa è un desiderio.
E’ una sensazione di appartenenza.
E’ una lingua.
E’ dove possiamo abbandonare il controllo, essere scompigliati.
Casa è il corpo.
Casa è il corpo, quando dentro quel corpo ci sentiamo a casa.
Casa è il corpo che non abbiamo, il corpo che sogniamo.
Casa è essere visti, come nessuno ci aveva visti prima.
Casa è poter smettere di nascondersi.
Casa non è dove sei nato – dice Nagib Mahfuz. Casa è dove cessano i tuoi tentativi di fuga.
Ho imparato a parlare e ho frantumato le regole
della lingua per poter comporre un’unica parola:
casa.*
Casa siamo noi.

*Mahmud Darwish

Questo breve video è il mio consueto dono di buon auspicio per questo nuovo libro che parte da solo per il mondo: prende il suo zaino della ginnastica e saltella, felice, senza mai girarsi a guardare indietro, soltanto sventolando una mano in segno di saluto. Buon viaggio, amico mio! 

little girl copertina

CREDITI VIDEO
Riprese e montaggio: Matteo Toni
Musiche: Little girl, Comaneci

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